È l’estate del 1984 e il protagonista, un ragazzo di dodici anni, sua sorella poco più grande e il suo migliore amico, sono ospiti di un orfanotrofio gestito da suore. Le “invisibili” come le chiamano loro. I tre amici si ritrovano presto a far amicizia con un nuovo arrivato dell’orfanotrofio. Un coetaneo che si rifiuta di svelare il suo vero nome, fornendo come unica spiegazione il fatto che quello di battesimo gli era stato dato da chi poi, di fatto, lo aveva abbandonato senza farsi troppi problemi. Curiosità e sospetto per il ragazzino scombussolano i loro rapporti. Difficoltà facilmente sormontabili per un gruppo di dodicenni, che presto legano al punto di voler seguire l’esempio dell’ultima recluta, scegliendosi anche loro dei nuovi nomi. Tutt’altro tipo di ostacolo da affrontare è quello che gli si presenta da lì a poco. I ragazzi scoprono infatti che uno di loro sarà adottato e posti davanti all’inevitabile separazione per mano degli “invisibili”, decidono di vivere un’ultima avventura insieme. Fuggono dall’orfanotrofio trovando nascondiglio in montagna dove i primi giorni sono vissuti con un misto di timore ed entusiasmo, poi, a mano a mano che salgono verso le cime, avvertono il senso della loro avventura farsi sempre più sfuggente. Non staranno cercando di compiere un’impresa troppo grande? Sotto stress e ispirati dal libro di fantascienza da cui uno dei ragazzi è ossessionato, pianificano una nuova fuga, questa volta cercando rifugio in un loro fantastico rito di passaggio, prima di dover affrontare in modo definitivo quello che li aspetta a valle. Le ombre delle decisioni di ciascuno si allungano fino al loro futuro di adulti. Un romanzo poetico e avventuroso, che racconta una vicenda universale: il momento nella vita di ognuno di noi in cui non si è più bambini ma non si è ancora adulti e ogni scelta può essere quella decisiva.
BIO
Nel 1993 la musica, all’epoca la mia più grande passione, mi portò a trasferirmi in Inghilterra dove mi ritrovai in pieno fenomeno Britpop.
Un periodo incredibile, nel quale la musica prese per mano l’intera scena culturale e politica del paese, riportano Londra ad assaporare la gloria e lo swinging degli anni 60, in quella che veniva definita Cool Britannia.
Per una volta ero al posto giusto, al momento giusto, e volevo farne parte.
Così uscii di casa per vendere il mio basso a un negozio in Denmark Street, l’epicentro della scena musicale degli anni 60, e con il misero ricavo andai poco più in là, ad una parallela dove c’erano i negozi di macchine fotografiche.
Iniziai a fotografare qualsiasi concerto riuscissi a farmi accreditare, mi iscrissi ad uno corso di fotografia alla Central St Martin, la scuola d’arte citata dai Pulp, e una volta messe insieme abbastanza foto bussai alla porta del NME. La rivista musicale più importante in Inghilterra e in quel momento nel mondo. La redazione che inventò di sana pianta la battaglia delle charts tra Oasis e Blur, il centro nevralgico di quella nuova scena musicale.
Ancora una volta, il posto giusto al momento giusto, mi fu data una chance ed entrai dalla porta principale del Britpop.
Venni immediatamente risucchiato da quel vortice e passai gli anni che seguirono a girare il mondo per ritrarre autori del calibro di Neil Young, Rolling Stones, Metallica, REM, Radiohead, U2.
Iniziarono subito le collaborazioni con le principali case discografiche e con i più noti magazine Inglesi e internazionali («Vanity Fair», «Rolling Stone», «Times», «The Guardian», «The Observer»).
La mia frequentazione al corso di fotografia, appena iniziato, non arrivò oltre il Natale. L’NME era un settimanale e generava tantissimo lavoro, non c’era tempo da perdere e dovetti imparare tutto molto velocemente sul campo.
Furono anni pieni di aeroporti, hotels, musica, storie incredibili e mille volti, tanti immortalati come icone, molti altri una cornice che spesso non aveva nulla da invidiare al quadro.
Oggi è tutto in un enorme serbatoio, storie, persone e racconti che ogni tanto tornano in superficie, nei momenti più inaspettati, suggerendomi idee creative, metodo e vere e proprie scelte di vita.
Nel tempo libero mi rifugiavo nell’altra mia grande passione, le sale buie di un cinema.
Continuai a fare tantissima musica, ma la mia fotografia iniziò ad espandersi nello sport, televisione, letteratura e cinema.
Nel 2012, mi trasferii a Locarno e fui immediatamente assorbito dal Festival del Cinema. Dopo anni passati su e giù da un aereo, i mostri sacri del cinema, una volta l’anno, volavano fin sotto casa.
La mia passione per la fotografia musicale si affievolì lasciando spazio a una sempre più pressante passione per il cinema.
Avevo attraversato la scena musicale anni 90 inglese a quella Italiana degli anni 2000, le cose stavano cambiando, come sempre accade, e io non mi sentivo più a mio agio in quel mondo, avevo voglia di imparare cose nuove.
Il festival di Locarno fu l’occasione perfetta, mi permise una transizione graduale dalla fotografia al cinema, di scrivere e girare un mio cortometraggio che si rivelò la mia scuola di cinema. Così come accadde anni prima a Londra, di nuovo, un corso intensivo sul campo.
Le immagini e la regia mi soddisfacevano, ma la scrittura era improvvisata, come poteva non esserlo.
Decisi di dedicarmi alla scrittura prima di girare qualsiasi altra cosa.
Non feci altro per anni, una mia sceneggiatura si fece notare al Sundance e all’Austin festival incoraggiandomi a continuare a scrivere e ad avventurarmi oltre le sceneggiature, nella letteratura.
Sette anni dopo esco finalmente da questo esercizio solitario e mi riaffaccio con un’opera prima cinematografica e il mio romanzo d’esordio.
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